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L’ORDINANZA TESEI È ABNORME E INGIUSTIFICATA PER TUTTI I TERRITORI CHE PRESENTANO DATI POSITIVI

Confartigianato Imprese Umbria afferma la propria netta contrarietà rispetto all’ordinanza regionale in vigore da oggi, la quale pone una serie di vincoli aggiuntivi eccessivamente stringenti alle attività d’impresa, che non mancheranno di riverberarsi negativamente sulle possibilità di ripresa economica regionale. Dopo un anno di emergenza, con le vaccinazioni che procedono troppo lentamente in Umbria, non è possibile continuare a emanare restrizioni alle imprese come unica o principale contromisura ai contagi, quando è ormai chiaro che solo le vaccinazioni e la riorganizzazione profonda del servizio sanitario possono costituire la soluzione per l’immediato e la garanzia di normalità per il futuro.

Un anno di restrizioni e di risultati economicamente disastrosi per le imprese che hanno gettato nella sofferenza intere famiglie, può creare situazioni difficili da gestire sia per quanto riguarda l’effettività delle norme che il clima sociale. Da non sottovalutare che la maggioranza delle imprese colpite sono gestite in forma individuale o familiare e i relativi imprenditori sono sottoposti a ulteriore demoralizzazione e scoraggiamento. L’ordinanza, inoltre, sembra rispondere a una impostazione che non tiene conto del fatto che mentre sui protocolli sanitari c’è sempre stata disponibilità da parte delle imprese per rendere gli ambienti sempre più sicuri e adeguarli alla situazione specifica del contagio, le restrizioni di chiusura invece non vengono accettate dalle imprese soprattutto quando la recrudescenza del contagio non dipende evidentemente dalla propria attività, ma forse è maggiormente imputabile a difficoltà del servizio sanitario.

DIVIETO DI CONSUMARE ALIMENTI ALL’APERTO Da un anno le imprese della ristorazione non possono più svolgere normalmente la propria attività e in particolare negli ultimi quattro mesi le attività dei servizi di ristorazione in Umbria hanno dovuto fare affidamento quasi esclusivamente sul servizio di vendita per asporto tre giorni su quattro. I servizi di colazione e di pranzo quindi si sono svolti principalmente fino ad ora con la prassi che i clienti hanno adottato di consumare all’aperto su area pubblica, non nelle vicinanze dei locali. Estendere all’intera giornata il divieto di consumo di alimenti e bevande all’aperto su area pubblica è particolarmente penalizzante per le attività dei servizi di ristorazione. Oltretutto è anche opinabile che determini situazioni più sicure per contrastare il contagio, perché la principale alternativa, soprattutto per il servizio del pranzo è il consumo al chiuso nei luoghi di lavoro, che possono non essere idonei o attrezzati allo scopo.


ANTICIPO DEL COPRIFUOCO ALLE ORE 21.00 Anche questa restrizione impatta notevolmente sulle attività dei servizi di ristorazione. Infatti, essa limita gli spostamenti dei privati fin dalle 21.00, ma non è chiaro come possa coordinarsi con la vendita per asporto dei ristoranti e bar con cucina, che invece la normativa nazionale consente fino alle 22.00. CHIUSURA DELLE ATTIVTA’ COMMERCIALI SABATO (DALLE 14.00) E DOMENICA Abnorme appare anche la ventilata chiusura (sulla base di una eventuale reiterazione dell’ordinanza) di tutte le attività commerciali il sabato (dalle 14.00) e la domenica. Tale obbligo appare estremamente impattante per le imprese commerciali soprattutto gli esercizi di vicinato, che naturalmente concentrano nel sabato pomeriggio la maggior parte del fatturato. L’obbligo appare di difficile attuazione sia per i problemi che creerebbe nei confronti delle imprese che nei confronti della popolazione che dovrebbe riorganizzare le prassi di acquisto e di approvvigionamento.

ULTERIORI COSTI GENERATI A CARICO DELLE IMPRESE L’ordinanza determina anche in base ad altre restrizioni e/o maggiori obblighi ulteriori costi alle imprese e una serie di dubbi interpretativi Per tutti questi motivi, considerato il particolare impatto negativo sull’economia delle imprese colpite e considerato inoltre che i dati dell’epidemia evidenziano situazioni molto differenziate sul territorio regionale, chiediamo un ripensamento dell’ordinanza in oggetto, in modo che gli obblighi sopra richiamati siano imposti solo se strettamente necessari e solo su base comunale, in considerazione dell’andamento dei dati comunali del contagio.

Mentre riconfermiamo la tradizionale disponibilità a valutare adeguamenti nei protocolli sanitari, esprimiamo preoccupazione per i possibili contraccolpi che un mancato ripensamento dell’ordinanza in oggetto può determinare sulla coesione, sociale soprattutto nei territori che presentano dati positivi in relazione al contagio, non potendo non apparire in questi territori come abnorme e ingiustificata l’imposizione di obblighi così economicamente gravosi per le imprese e i cittadini.





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